Pierluigi Billone
La scrittura è un intreccio di prassi differenti già fondate e orientate.
E’ una dimensione aperta: al centro ha un respiro e leggi proprie, in periferia si fonde nei contatti con le altre prassi.
Entrare nella scrittura significa entrare in un movimento già in corso, come in un fiume.
Secondo dove si entra il che cosa, il come, il perché, per chi, saranno diversi e già predisposti dal movimento stesso.
Questo è certamente un inizio.
Ma noi procediamo inavvertitamente in questo inizio come se non ci fosse più nulla da pensare e proseguiamo; quasi che tutto fosse già deciso e fissato, e definitivamente.
E´ il caso di chiedersi: perché già deciso? Come e da chi?
La questione non è iniziare e proseguire, ma nascere alla musica.
E’ un momento delicato e decisivo, che dovrebbe essere un’apertura, invece rischia sempre di ridursi a una chiusura, in cui qualcosa di essenziale va perso.
Se la musica ci viene incontro e ci offre la possibilità di una nascita, la cosa da fare potrebbe essere: restare consapevolmente a distanza.
Una distanza da praticare per gradi, secondo una partecipazione sempre più marginale, fino a trasformarsi in una vicinanza senza partecipazione.
Favorire un consapevole e momentaneo silenzio del fare (del realizzare), che non è mancanza di contatto con il mondo, ma un attivo lasciare spazio e libertà di respiro a ciò che viene incontro.
Invece di soffocare prematuramente questo incontro, restare in ascolto e attendere cosa potrebbe succedere. Accogliere questa *emozione e fargli spazio.
Anziché far continuare attraverso di noi in modo inavvertito e automatico il movimento della scrittura, invece: fermarsi, non proseguire.
Cercare di capire qual è la nostra posizione e se, e in quale altro modo, sia possibile corrispondere.
Se siamo riusciti a esercitare questo iniziale silenzio del fare, nel gioco di:
si crea una attenzione, nata da una emozione, ma
In questo stato di disposizione attenta uomo, albero, casa, l’automobile appena passata, un suono indecifrabile, i fiori appassiti, la macchina da scrivere inceppata, l’ascensore riparato, un pensiero ossessivo, uno sguardo che ci ha toccati: tutto ciò che ci è prossimo, svincolandosi dalla rigidità del proprio nome-funzione, si fa presente come ritmo, respiro, misura, in una connessione talmente stretta da non sopportare alcuna definizione.
L’uomo si avverte respiro e ritmo propri, inseparabilmente dal gioco di contatti e concomitanze con altri respiri e ritmi non umani.
Il rivelarsi così di questa connessione ritmica è un’emozione integrale, ed è il dono possibile di questo silenzio del fare.
Fondamentalmente è questo che pulsa e si rinnova ogni volta in ogni singola emozione musicale autentica. Non si tratta di conoscenza ma di *conascenza.
Quando l’uomo si avvicina alla nudità di questa connessione, “slega” parzialmente la propria umanità (ordinamento, valori, significati).
La slega perché la riconosce come una costruzione e un gioco di forze, certamente necessaria ed essenziale per trovare e porsi alla giusta distanza nell’esistenza, ma separa dalle cose (si e´formata a questo scopo).
La *connessione è un evento fuori tempo (lo inaugura), non dipende dall’interpretazione umana, e non ne è influenzato. E´un’iniziazione. E` la prima neve della stagione.
Proprio perché è co-esistenza ritmica, non ha né un luogo né un come privilegiato in cui manifestarsi. La sua occasione è qualsiasi cosa in qualsiasi momento, ed è di volta in volta unica.
Non può essere il risultato di una forzatura (che cerca la ripetizione come esperienza intellettuale).
Ciò che viene incontro, anche se non ha bisogno di un nome, potrebbe essere avvicinato come il *Musicale (dove l´asterisco –secondo l´uso antico del determinativo- segnala la dimensione a cui ci si riferisce). Prospettiva disorientante.
Il frutto di tutto questo:
La *scrittura è la questione centrale, perché attirando e concentrando l’intero movimento lo rende possibile/impossibile.
Il difficile comincia ora; proseguire da qui significa incontrare un cammino pieno di ostacoli.
Il primo ostacolo siamo noi. Solamente ora si rivela appunto l’orientamento, la necessità, il peso e la rigidità della nostra provenienza, della formazione, dell’esperienza accumulata, dei punti di riferimento e di appoggio in cui ci riconosciamo.
La possibilità per questo eventuale richiamo di irraggiarsi nel nostro fare, potrebbe consistere in un cammino di spogliazione. Spogliare consapevolmente la scrittura fino alla trasparenza.
Diventare docili a ciò che noi stessi già siamo, slegando i vincoli e spostando i limiti.
Farsi *Foglio-matita.
Federico De Leonardis: Pastorale e Catena 1987