Pierluigi Billone
home  contatto  

Pierluigi Billone


Ho raccolto alcune domande attorno a pochi temi. Non so se sono veramente 33 domande. Non importa. La lecture si sviluppa in 9 sezioni. Tutte le diverse sezioni circolano attorno a una questione fondamentale e comune, che le lega tutte come un filo nascosto, ma che non viene mai formulata direttamente.

1. John Cage, una vera domanda

What if I ask 32 questions?
What if I stop asking now and then?
Will that make things clear?
Is communication something made clear?
What is communication?
Music, what does it communicate?
Is what’s clear to me, clear to you?
Is music just sound?
Then, what does it communicate?
Is a truck passing by, music?
If I can see it, do I have to hear it too?
If I don’t hear it, does it still communicate?
If while I see it, I can’t hear it, but hear something else, say an egg-beater, because I am inside looking out, does the truck communicate or the egg-beater, which communicates?
Which is more musical, a truck passing by a factory or a truck passing by a music school?
Are the people inside the school musical and the ones outside unmusical?
What if the ones inside can’t gear very well, would that change my question?
Do you know what I mean when I say inside the school?
Are sounds just sound or are they Beethoven?

***

Cosa succede se faccio 32 domande?
E se smettessi di chiedere di tanto in tanto?
Questo chiarirà le cose?
La comunicazione è qualcosa di chiaro?
Cos'è la comunicazione?
Musica, cosa comunica?
Ciò che è chiaro a me, è chiaro anche a voi?
La musica è solo suono?
Allora cosa comunica?
Un camion che passa è musica?
Se posso vederlo, devo anche sentirlo?
Se non lo sento, comunica comunque?
Se mentre lo vedo non riesco a sentirlo, ma sento qualcos’altro, diciamo uno sbattiuova, perché sono dentro e guardo fuori, è il camion o lo sbattiuova che comunica?
Cos'è più musicale, un camion che passa davanti a una fabbrica o un camion che passa davanti a una scuola di musica?
Le persone all'interno della scuola sono musicali e quelle fuori sono antimusicali?
E se quelli all’interno non riuscissero ad adattarsi molto bene, questo cambierebbe la mia domanda?
Sapete cosa intendo quando dico all'interno della scuola?
I suoni sono solo suoni o sono Beethoven?

Estratto dalla Lecture di John Cage Composition as process, III-part, Communication.
Tenuta nel 1958 a Darmstadt, agli Internationale Ferienkurse für Neue Musik

 …il testo originale della lecture continua, questo breve frammento è sufficiente per richiamarla.

Sarebbe importante, ma è impossibile rievocare il contesto in cui questa lecture è avvenuta, e l’impressione di stupore e chiara provocazione che ha suscitato negli ascoltatori.

In ogni caso, queste domande sono stupide. Come domanda, al massimo possono produrre una risposta altrettanto stupida. Ovviamente John Cage lo sa perfettamente. A John Cage qui non interessa domandare per conoscere.

Non si tratta di vere domande, sono solo delle costruzioni verbali. Hanno lo scopo evidente di non creare mai un oggetto reale di attenzione. Da queste domande non ci si aspetta alcuna risposta, sono domande vuote. E infatti, molto coerentemente, alcuni anni dopo nel 1974, diventeranno definitivamente “Empty words”.

Una domanda può avere forme molto diverse. Una vera domanda genera un ostacolo che richiede comprensione e costanza di attenzione, limita uno spazio e un campo, segna un confine, oppure definisce un vuoto significativo, certamente impegna all’esercizio o all’abbandono di un punto di vista, invita a una visione.

Una vera domanda rischia sempre di restare senza risposta o di richiedere l’impegno di una vita. Questo è certamente il caso di John Cage. Il ricordo del suo sorriso e della sua leggerezza provocatoria ci accompagna da anni. Qui, però, rinunciamo volontariamente a questo sorriso.

ritorno all'inizio

 

 

2. Non ci sono mai domande

Spesso, quando un compositore presenta il suo lavoro e persino in una lecture con un tema specifico, raramente si propongono domande, quasi mai reali domande. Se ci sono, si tratta di tipici espedienti retorici per introdurre o articolare gli argomenti del tema scelto. Pertanto, non ci sono mai domande.

Alcune persone invece si impegnano per trasformare un incontro o una lecture in un imprevedibile colloquio fra esseri umani. Ho dei ricordi indelebili di Iannis Xenakis, Gerard Grisey, Brian Ferneyhough, Luigi Nono. C'è un momento dove “sbuca” una domanda autentica, che mostra di essere maturata attraverso la pratica e la riflessione, di essere diventata finalmente una domanda dopo un lungo lavoro, che è ancora in evoluzione: questa è la ragione per cui viene lasciata aperta, senza una risposta definitiva. In quei momenti svanisce il contesto e lo scopo professionale immediato di quella occasione.

Una vera domanda emerge sempre da una dimensione impersonale, è destinata e rivolta alla considerazione comune, riguarda tutti e profondamente, indipendentemente dal fatto che nasca da questioni specifiche. In una domanda autentica parla sempre il pronome personale noi, e questa forma di altruismo è riconoscibile.

§

A molti compositori sembra invece più urgente e importante considerare il proprio lavoro, cioè sé stessi e il proprio status professionale. Anche quando sembra che si tratti di questioni tecniche o più generali, l’oggetto reale è in ogni caso la propria identità professionale da affermare, da far riconoscere o da difendere. È quasi sempre una immagine costruita di noi stessi o del nostro lavoro, presunto interessante per gli altri. Ovviamente, in questa sorta di dress-code professionale-intellettuale è improbabile che ci sia posto per una domanda autentica.

Quindi, in questi casi, quando partecipiamo come ascoltatore, qualche volta rischiamo semplicemente di offrire un’occasione di realtà a questa mentalità accademica. Sta a noi, sia conferenziere che ascoltatore, essere vigili, cercare di evitare di recitare solo la nostra parte in un rituale esausto.

ritorno all'inizio

 

 

3. Considerare un albero

In qualsiasi campo dell’esistenza, ci misuriamo con pratiche, procedure e conoscenze che non possediamo e che dobbiamo apprendere. Quando questo processo di apprendimento è finito, accediamo al possesso di una tecnica o di una conoscenza specifica, e infine all’uso e alla trasformazione delle cose. Nel rapporto con le cose, per lo più, cerchiamo soluzioni a problemi e risposte a domande, e la via per raggiungere il nostro scopo.

Raramente ci interessa soffermarci sulla complessità delle cose, che invece è di altra natura, riguarda i rapporti, spesso si nasconde dietro o dentro un’apparente semplicità. Questo richiede un impegno attivo e creativo di tutte le nostre capacità. Richiede soprattutto vicinanza, rapporto diretto e costante, armonizzazione con le cose, cogliere le linee nascoste della nascita, della crescita, dell’esistenza e dei legami di una entità, sia che si tratti di una cosa o di un essere umano, e ovviamente, non temere di cadere in errore.

Consideriamo per esempio un albero. In genere ignoriamo come è nato, come è fatto, come si sviluppa, ecc. ignoriamo anche il nome. Lo vediamo tutti i giorni e diventa un elemento così familiare del nostro sguardo fino a trasformarsi in una presenza semplice e indifferente, anzi fino a scomparire dall’attenzione. Sembra lontanissimo da quello che immaginiamo e pensiamo come complessità.

Ma quando cominciamo a comprendere che un albero, indipendentemente dalla nostra noncuranza e dal nostro punto di vista personale, è il centro di equilibrio, o il necessario punto di riferimento e la fonte di esistenza per una comunità di animali, per la loro riproduzione, per la loro vita, per la nostra vita, per altre piante, e noi con loro, ecc. in questo momento avviciniamo la prospettiva della complessità: un albero qualsiasi diventa un’occasione per comprendere aspetti della vita, che stanno in un gioco di rapporti e reciproca integrazione, e dove noi stessi abbiamo un ruolo. In genere, questa comprensione muta il rapporto “normale”, cioè superficiale o indifferente che abbiamo con un albero.
Lo stesso dovrebbe accadere con il suono.

Il nostro rapporto con il suono e la musica è effettivamente molto vario, può essere estremamente tecnico e specifico, spesso molto intellettuale, o sinceramente emozionale e appassionato, oppure distaccato e indifferente, banalmente pragmatico, ecc. In breve, tutti gli approcci possibili. Ciononostante sembra non accedere mai a una comprensione.

Persino di più: il nostro rapporto con il suono non sembra realmente interessato a una comprensione, ma solo all’esercizio di un punto di vista, applicato ad un campo limitato, per semplici scopi immediati, che richiedono certamente una expertise specifica, ma non implicano alcun tipo di riflessione sul senso del rapporto. Anche se potremmo descrivere e spiegare tecnicamente tutte le operazioni che facciamo, raramente abbiamo piena consapevolezza di questo rapporto col suono.

Se ciò che descrivo è reale, che cosa mostra e indica?

ritorno all'inizio

 

 

4. Non c’è più niente da scoprire

Verso il 1950 non era più considerato ovvio che un suono è un suono.

Citazione da K. H. Stockhausen - Lecture On Sound 1972

Quando si riflette sul suono, soprattutto in questi ultimi anni, che sono fortemente regressivi, la convinzione superficiale e comune che non ci sia più niente da scoprire, è sempre presente e attuale, come le musichette nella pubblicità.
Così come il cosiddetto nuovo e ciò che è considerato attuale sono definiti soprattutto dalla mentalità burocratica degli operatori culturali dei Festival, o dalle strategie pubbliche della produzione culturale. Tutto avrebbe già raggiunto i propri limiti e un piatto equilibrio definitivo, ogni cosa può stare ed esistere nel posto che le è stato assegnato,
…come i nativi americani nelle riserve…
Il privilegio della scoperta apparterrebbe esclusivamente all’avanzamento tecnologico delle discipline professionali. I mutamenti e le deviazioni individuali che possono apparire, ma che non sono organici al system in place, cioè alla mentalità dominante, sono considerati inevitabilmente periferici, quindi senza conseguenze, e alla fine irrilevanti.

In questa prospettiva, per libertà individuale si intende semplicemente l’originalità e/o la particolarità del proprio lavoro, ma solo quella standardizzata e gratificata dal riconoscimento pubblico. Si opera all’interno di ciò che già esiste, ed ovviamente è meglio operare nello spazio confortevole e rassicurante della tradizione o all’interno della ideologia delle istituzioni dominanti.

Quindi, come dire? Stockhausen nel 1972 si sbagliava. Il suono è il suono, e sarà sempre così, semplicemente ognuno …canta la sua canzone.

§

L’intera evoluzione della musica scritta e di tradizione orale, testimonia invece molti modi diversi di avvicinare e fare esperienza del suono, mutamenti di concezione che mutano il senso e il rapporto con il suono.

Si tratta di una evoluzione né lineare, né unica, né definitiva, perché si muove in solido con l’evoluzione della cultura spirituale e materiale, che è per definizione centrifuga e aperta. È sufficiente considerare anche solo le opere scritte negli ultimi 100 anni, oppure le musiche estranee o al di fuori della cultura ufficiale, o quelle appartenenti ad altre culture (sia antiche che attuali), per constatare che il termine suono nomina una realtà plurale e mai definitiva.

La convinzione che non ci sia più niente da scoprire, significa banalmente che si è già trovato il proprio modo efficace di stare nella realtà che ci circonda, usandola esattamente come è e per quello che è. Come un paesaggio in cui ci muoviamo, e che deve restare identico a sé stesso altrimenti perdiamo i punti di riferimento. Quindi tutto può e deve restare com’è.

Ma cosa significa scoprire? Scoprire non significa creare una nuova realtà, significa portare alla luce
ciò che appartiene già alla realtà ma rimane nascosto, non visto, ancora senza accesso, quindi qualcosa di cui non percepiamo ancora pienamente l’esistenza, anche se siamo in contatto e ne avvertiamo oscuramente la presenza e la vicinanza.

Qualcosa fa parte del paesaggio, ma non riusciamo a distinguerlo e definirlo fino a quando non lo scopriamo.
Scoprire significa riuscire a vedere e comprendere rapporti nella realtà, che mutano il modo di pensare la realtà stessa, anche se inizialmente sembrano paradossali o sono apparentemente inconcepibili. E da qui, provare a rendere visibile questa differenza anche agli altri e fare di questa comprensione un bene comune.

Richiamiamo solo alcuni esempi da altre discipline.

Niels Bohr, il fisico danese, che agli inizi del XX° secolo ha fornito contributi fondamentali alla comprensione della struttura atomica e alla Teoria dei Quanti.

Erwin Hubble, l’astronomo americano, che nel 1929 ha definitivamente dimostrato che l’universo è in espansione.
Ovviamente, il campo musicale non è direttamente paragonabile alla fisica o all’astronomia.

Ciononostante ci sono esperienze che hanno cominciato a mutare la concezione del suono occidentale, e che quindi indicano che nella sensibilità e cultura occidentali, il modo di avvicinare e pensare il suono era già in profondo mutamento.

Pensiamo per esempio a esperienze ormai lontane nel tempo come quelle di Anton Webern nelle Bagatelle Op.9, 1913, dove mostra che il suono è un corpo e ha stati. La gerarchia e la distinzione tradizionale fra suono e timbro del suono possono essere superati.

Così come Maurice Ravel o Igor Stravinsky o Alban Berg, agli inizi del novecento, creano particolari stati del suono che non hanno più nulla a che fare con i principi del sistema temperato, altezza, ritmi, melodia, e armonia. Il suono ora può essere pensato anche come energia e materia.

§

È rimarchevole notare che, proprio in chi crede e dice che non ci sia più niente da scoprire, si osserva un attivismo senza interruzione, alimentato da una necessità costante e inestinguibile di qualcosa di nuovo, esattamente come in certi disturbi dell’alimentazione o nelle strategie di produzione dei prodotti commerciali di massa. Come se quello che accade e già esiste non abbia mai la consistenza per durare. Questo cosiddetto nuovo quindi è di un tipo particolare: dura esattamente il suo breve arco di apparizione. Deve essere rimpiazzato, perché è già nato come nuovo rimpiazzabile. Come ogni nuovo modello di I-Phone. Una scoperta invece è qualcosa di molto raro e difficile, che matura lentamente. Quando accade, introduce un mutamento di prospettiva, è un vuoto che si apre nella conoscenza passata, è un seme di futuro che costringe a riconsiderare il presente.

Talvolta, nel nostro campo professionale, sembra che si sia materializzato il paesaggio spirituale in cui si muovono i personaggi di Aspettando Godot di S. Beckett.

ritorno all'inizio

 

 

5. Rapporto con gli apparati

Noi tutti sperimentiamo come l’accesso creativo al suono sia oggi reso possibile e al tempo stesso dipendente da apparati di tipo diverso, che giocano un ruolo decisivo in ogni fase del nostro lavoro. Soprattutto la tecnologia digitale avanzata, promette, in qualche modo, l’accesso diretto a nuove e illimitate possibilità, in ogni campo. Noi consideriamo un apparato spesso superficialmente, come una semplice ed efficace estensione del corpo, come un prolungamento delle capacità della mano o degli occhi, perché lo pensiamo ancora come un semplice utensile primitivo. In questo caso però è diverso. Ci sono buone ragioni per pensare che sia l’uomo stesso, a essere diventato una estensione dell’apparato. L’interazione con un apparato è possibile solo se io sono pronto e capace di interagire con la stessa logica, allo stesso livello e all’interno degli stessi limiti operativi. Questo significa: se io modifico e armonizzo la mia sensibilità e creatività aperta, secondo la logica e il funzionamento dell’apparato.

Questa logica però non è neutra. Decide cosa, come ed entro quali limiti è possibile pensare. Decide qual è l’orizzonte dei rapporti che posso elaborare. Quindi, a rigore, io ho l’illusione di operare in un campo senza limiti e pieno di futuro, invece opero definitivamente in una creatività pre-figurata e pre-orientata di II° rango.

Un secondo aspetto rilevante è che, una volta interiorizzati i principi della logica di rappresentazione e di funzionamento dell’apparato, non si torna più indietro, per così dire. Cioè, con o senza apparato, questo sarà il modo secondo cui io vado incontro alle cose, le colloco in un orizzonte di attenzione, le rappresento, ne immagino rapporti e sviluppi ecc.

L’efficacia operativa dei nuovi apparati è talmente convincente, che sembra inutile e inappropriato porsi domande sul loro senso. Qualsiasi considerazione critica viene emarginata nella periferia della incompetenza o della old-fashioned nostalgia per i tempi della matita e della gomma.

Ma, in un campo creativo come la composizione, le cose sono un po’ divere e più complesse. Viene per tutti il momento in cui l’uomo non si riconosce più nel ruolo di estensione di un apparato. E allora la questione diventa una necessità non rinviabile. Ci sono questioni e campi creativi, che giacciono prima o al di fuori di una logica di operatività, che dipenda da un apparato. Questioni di cui un apparato non potrà mai né possedere le chiavi né inglobare nella sua logica.

Se voglio mettere in questione la mia relazione stessa con un apparato, è una questione fondamentale di libertà. Devo prima comprendere teoricamente il senso dell’esistenza e il grado di influenza dell’apparato nel mio lavoro, e poi essere capace di fondare e costruire la mia indipendenza. A questo scopo è necessario un punto di vista libero, estraneo e svincolato da ogni logica operativa e di funzionamento. Devo poter riconsiderare consapevolmente questo legame e fare spazio a un pensiero di tipo completamente diverso.

Dove cercherò e come fonderò questa libertà? Come la svilupperò?

ritorno all'inizio

 

 

6. String quartet n. 1 di Morton Feldman

Qualche anno fa, Arditti String Quartet ha eseguito a Vienna lo String quartet n.1 di Morton Feldman, un lavoro del 1979 che dura circa 80 minuti. Si tratta di un lavoro molto impegnativo sia per gli interpreti sia per il pubblico di ascoltatori. La difficoltà dell’ascolto dal vivo di questo lavoro non dipende direttamente dalla sua durata estesa, ma dall’intensità, la costanza e la flessibilità della attenzione necessarie in rapporto a questa durata. Questa musica ha uno sviluppo indecifrabile. Conduce l’attenzione in un labirinto. È un percorso difficile e impegnativo, ed è inevitabile in molti momenti perdere il contatto con l’evoluzione del suono. Richiede un costante sforzo attivo di attenzione e disponibilità. Se questo avviene, allora questa musica ha la potenza di una iniziazione a una dimensione ritmica ignota, che crea nell’ascoltatore uno spazio che si deposita e resta aperto. Questa almeno è la mia esperienza, che è ancora viva dopo tutti questi anni.

Quando alla fine del brano, gli interpreti hanno sciolto lentamente la tensione della loro posizione, ci sono stati circa due minuti di silenzio, cioè tutto il tempo necessario a questa musica di cessare di risuonare in ciascuno dei presenti, sia gli interpreti che gli ascoltatori. Solo dopo, e molto lentamente, è iniziato un lunghissimo applauso di ringraziamento per gli interpreti.

Qui interessa il lungo silenzio spontaneo, che era imprevedibile in quel contesto. Che cosa indica questo silenzio?

ritorno all'inizio

 

 

7. Gerd Van Looy – “Nuovo paradigma”

I COMPOSITORI — I compositori, almeno una loro parte importante, hanno iniziato un processo di transizione dove lo “scrivere un pezzo” è sostituito da “definire una situazione musicale”.

IL PUBBLICO — Il pubblico della nuova musica è per lo più morto; il pubblico della “musica alternativa”, alla ricerca di nuove forme di bellezza musicale o sonora, sta crescendo. Questo pubblico, estremamente eterogeneo apprezza — senza alcuna diffidenza — una gamma ampia e diversa di pratiche di ascolto: una attenzione strutturale, un ascolto profondo e immersivo, un’attenzione fluttuante di trame improvvisate, una esperienza corporea, una attitudine dentro-fuori tipica del museo, e così via. Il loro spazio mentale è ora “fuori centro”, e sta cambiando la concezione globale dello spazio musicale.

INTERPRETI — I musicisti-performers si sentono sempre piú a loro agio nel sottrarsi allo status e al profilo di un esecutore di alto livello in una “mini-orchestra”, hanno invece a che fare piú che mai con nuove situazioni. [...]

La de-specializzazione diventa un concetto chiave: i performers si impegnano- con tutta l’esperienza musicale che hanno acquisita – in nuovi campi di esecuzione, controllo, messa in movimento, invenzione oltre i limiti dello strumento che conoscono.

Stiamo considerando queste tre questioni: 'i compositori di fronte alla partitura in un nuovo modo' + 'il pubblico che fa esperienza di nuovi spazi' + 'i musicisti che fanno esperienza di nuovi compiti', non come 3 fatti paralleli e distinti, ma come un nodo potente di interazioni inattese. Un nodo che potremmo definire “new paradigm” (nuovo paradigma): l'allontanamento dallo spazio moderno e la fine della curva della musica scritta per come l’abbiamo conosciuta.
A questo punto potremmo dire che la nuova musica ha cessato di essere moderna e sta entrando la sua “era contemporanea”.

Alcuni estratti dall’articolo L’osservatore come parte dell’esperienza (The Observer as part of the experience). Pubblicato nel Blog del Klangforum Wien nel 2018 di Gerd van Looy,
a quel tempo manager dell’Ensemble Ictus.

Osservazioni

  1. Gerd van Looy è un manager esperto, attivo nel campo della musica e del teatro contemporaneo, soprattutto in Belgio. Nel 2018, quando scrive queste riflessioni, è manager dell’ensemble Ictus. Van Looy cerca di osservare e definire, dal suo punto di vista, alcuni cambiamenti particolari nell’approccio alla musica, che appaiono nelle nuove generazioni. Considera questi cambiamenti come rilevanti e definitivi, e li descrive con termini chiari. Osserva e fotografa una realtà musicale metropolitana e la confronta con i Festival e le istituzioni musicali che conosce e in cui opera. Soprattutto Belgio, Francia, Germania. Questo campo di osservazione è allo stesso tempo un contesto certamente rilevante e significativo, ma definito e limitato.

  2. Gerd Van Looy, non cerca di comprendere e spiegare questi mutamenti nella sensibilità di un pubblico completamente disomogeneo, è più interessato a definirli e fissarli in categorie. Apparentemente, sembra soprattutto una questione di marketing e strategia di programmazione. Ovviamente non si tratta solo questo. Proviamo a considerare queste osservazioni come qualcosa che ci interroga profondamente.

    §

    C'è una differenza culturale fra generazioni, che è iniziata da molto tempo ed è definitivamente compiuta. Questa differenza è osservabile in ogni campo dell’esperienza, e quindi anche nel campo musicale. In una realtà che consiste attualmente soprattutto di oggetti e prodotti culturali, l’interesse e il rapporto con il suono e la musica è mutato. È un interesse non specifico, distaccato, momentaneo e solo parziale, e inevitabilmente superficiale. In queste condizioni è impossibile che un rapporto col suono possa nascere, evolversi e diventare esperienza, riflessione e conoscenza. È più un interesse e un’attenzione da turisti: quella curiosità ed entusiasmo momentanei, per qualcosa a cui non apparteniamo e che non ci tocca direttamente nel profondo. Questa situazione è considerata come una evoluzione spontanea, non viene descritta come una mancanza ma come un segno di modernità e attualità, che semplicemente accade e spontaneamente sostituisce le vecchie forme di rapporto.

    §

    Proviamo a considerare seriamente questo essere e sentirsi “out of centre” che appare in molti giovani.
    Indica che nel profondo c’è un certo vuoto, che genera un’inquietudine e una mancanza di interesse reale per qualsiasi cosa.

    Quindi, anche se sembra paradossale o inaspettato, ribaltiamo la questione: è possibile che, per ciò che il campo artistico musicale è in grado di proporre attualmente, e cioè solo prodotti di intrattenimento culturale/intellettuale, un tipo di interesse e attenzione fluida, indefinita, superficiale, incostante e senza oggetti reali, sia più che sufficiente. Come dire? Forse non c’è molto che meriti una attenzione profonda. Se così è, allora mi chiedo: la cultura dell’intrattenimento in cui noi tutti operiamo — in ogni caso e senza eccezioni — è in grado di ascoltare e comprendere il vuoto di spiritualità e profondità che viene dai giovani?

    §

    Uno spazio mentale “Out of center”, significa un piatto livellamento di qualsiasi cosa all’istantaneo, senza senso e senza rilevanza. È uno stato mentale e spirituale come uno stomaco vuoto da riempire con ogni mezzo e incessantemente, celebrato come apparente libertà e superamento di ogni schema, come segno di modernità. Ce lo ha proposto anche John Cage, fra l’altro.

  3. Dal profondo del nostro passato abbiamo imparato che un lavoro musicale accede al suo pieno significato solo sotto una certa costellazione di condizioni e attraverso stadi successivi.

    • Quando è una esperienza in comunione, all’interno di una cultura omogenea
    • Quando è vissuto con una partecipazione piena
    • Quando agisce, in chi partecipa e ascolta, come una iniziazione, che crea, a partire da questo contatto iniziale, un modo di comprensione prima ignoto
    • Quando è in grado di evolversi e crescere nell’ascoltatore come una esperienza di conoscenza che diviene sapere acquisito.

    La possibilità che questa costellazione di condizioni accada, non è né ovvia né scontata.
    Anzi, è molto rara.

    Ma solo così, un lavoro musicale può cominciare a vivere profondamente in ciascuno di noi, diventando un centro di gravità, che concentra e irraggia questo sapere generato dal suono negli altri campi dell'esistenza. Questo processo di conoscenza richiede impegno creativo individuale, studio, dedizione e soprattutto tempo. Questo non ha nulla a che fare con l’ascolto passivo che l’ideologia moderna dell’intrattenimento e della cultura ci propone. È possibile che oggi, il tipo di rapporto col suono che abbiamo imparato dal passato, non sia riproducibile, se non sul piano individuale, quindi ininfluente da un punto di vista sociale. Perché la concezione e le condizioni d’esistenza della musica, dell’ascolto e la realtà concreta della musica sono mutate definitivamente.

    Se questo “new paradigm” delineato da Gerd van Looy descrive efficacemente il rapporto che in molti contesti si installa attualmente fra Compositore, Audience and Performer, dobbiamo rimarcare alcuni punti.

  4. Nelle persone che concepiscono e fanno esperienza del rapporto con il suono secondo questo “new paradigm”, non c’è un rapporto con il suono come conoscenza, evidentemente perché non c’è mai stato.

    Forse non sanno nemmeno di cosa stiamo parlando. L’equilibrio del loro mondo non dipende dall’esercizio di un ascolto come conoscenza. Non avvertono questa situazione come una perdita. Come dire? È improbabile essere interessati a pane e vino (Brot und Wein di F. Hölderlin), se si conoscono solo Cheesburger and Coke. A questo punto si pone una questione etica individuale. Io compositore, sono consapevole del ruolo sociale del mio lavoro?

  5. Questa stessa domanda però vale anche per chi crede di poter far proprio il senso del passato, semplicemente riproponendolo e ripetendolo con qualche segno superficiale di modernità. Anche questo tipico orientamento è molto diffuso. In genere si tratta di una adesione al passato che è forse appassionata, ma certamente è sorda e cieca.

    §

    La riproposizione del passato è un contesto altrettanto limitato, potremmo definirlo “old paradigm”, ma di rango sociale più elevato e riconosciuto. Si tratta del presunto bello e importante tradizionale, per come è riconosciuto sia dall’establishment culturale-musicale sia dalla burocrazia dello spettacolo. Anche in questo caso non c’è più spazio per una conoscenza.

    La musica concepita nel passato appartiene ad una visione del mondo e dell’uomo, e a un rapporto fra uomo e cultura materiale, che erano originali e necessari quando sono accaduti. Non erano ancora tradizione.

    Quindi, quando ne riproponiamo l’orizzonte e il senso, siamo inevitabilmente nella prospettiva del museo e del monumento per turisti, o in una logica di marketing, interessata a riprodurre oggetti culturali tradizionali da vendere e consumare.

  6. Questione

    Come sappiamo, un lavoro musicale contiene già in sé stesso il tipo di ascolto possibile. Un lavoro musicale crea il suo ascoltatore possibile, incapsula già la risposta alla domanda cosa è musica, cosa è suono, cosa è lavorare il suono, cosa è ascoltare, cosa è performance, ecc.

    Che cosa significa allora consapevolezza in campo musicale? È una questione di competenza in un campo specifico?

ritorno all'inizio

 

 

8. Lo spazio vuoto in cui la voce appare

Negli anni 60-80 lo sviluppo e la sperimentazione in campo vocale hanno avuto un grande impulso, dovuto da un lato alla curiosità avventurosa e visionaria di molti compositori, alla capacità e all’interesse eccezionale di alcuni solisti e allo sviluppo di una nuova notazione, dall’altro alle possibilità offerte dalle tecniche di registrazione e diffusione, e degli apparati elettronici. Nonostante questa esplosione di creatività in molte direzioni diverse, testimoniata da lavori che dovrebbe essere un patrimonio di conoscenza acquisito e condiviso, in questi ultimi anni si assiste a una costante regressione, come se quelle esperienze aperte e visionarie siano già dimenticate.

La vocalità attuale è ritornata ad essere un campo piuttosto limitato, ancora pieno delle convenzioni e di limiti derivati dal passato ma sempre attuali, completamente filtrato e condizionato dalla cultura tradizionale e scolastica della voce, influenzato dalla prigione tecnica e culturale dei ruoli vocali tipici, da una certa ignoranza e insensibilità dei cantanti, dalle necessità e dai limiti della notazione convenzionale, dai cliché dei compositori considerati di successo.

Questo fatto è ancora più evidente se lo si paragona alla libera espansione della voce nella musica non scritta, nella vocalità sperimentale e nella vocalità teatrale sperimentale. Per un compositore, apparentemente, lo spazio creativo individuale consisterebbe nel lavorare all’interno e nei limiti del campo della musica vocale scritta attuale, ovviamente trovando un proprio modo personale e originale di espressione, che mostri un qualche aspetto di attualità e modernità. Quindi, poter fare quello che piace e interessa, all’interno di ciò che è considerato professionalmente possibile e conveniente. È quello che in genere accade, ed è considerato ovvio, soprattutto quando si lavora per Festival, grosse istituzioni tradizionali e interpreti riconosciuti. Da un punto di vista professionale, questa prospettiva sembra sensata o almeno realistica. Ma… ci sono cose più importanti.

§

La voce non è un violino o una tromba o un tamburo o un apparato elettronico, uno strumento musicale che si possa ascoltare con distacco. La voce non è una pratica musicale qualsiasi. La voce riguarda l’essere umano direttamente, sempre e in ogni caso. Ogni essere umano è anche una voce. Ogni essere umano può entrare nella voce, e prenderne parte.

Ha senso pensare che la mia voce, ciò che considero un segno evidente della mia identità e della mia unicità come essere umano, appare in me, ma fondamentalmente non mi appartiene in modo esclusivo. In ogni singola voce individuale riposano le tracce di migliaia di voci dimenticate o ignorate. Ogni essere umano è il luogo aperto dove la voce in generale e il Canto possono apparire.

§

Consideriamo un primo punto fondamentale. La voce ha la possibilità di creare una comunione momentanea fra due esseri umani nel modo più diretto possibile, perché una voce, che nasce nel corpo, risuona e vibra direttamente in un altro corpo, che è lo spazio di un’altra voce. Attraverso la voce due corpi si avvicinano e si unificano, diventano due poli della stessa entità.

Nel caso della voce, l’ascoltatore perde il suo ruolo definito dalla pratica usuale e dalla cultura. Io sono lo spazio possibile di una voce, la mia. Quando parlo o canto, la vibrazione risuona in me e contemporaneamente mi ascolto. Quando ascolto un’altra voce, io vibro come uno spazio, al cui interno risuona ciò che un’altra voce sta facendo qui e ora (nello stesso spazio della mia voce).

§

Quando la voce è considerata solo come un campo di possibilità tecniche o espressive, in questo caso si riduce ad essere solo un oggetto culturale, o, più banalmente, un oggetto musicale e basta. Proviamo invece a considerare la voce diversamente.

La voce è ciò che risuona in un corpo vuoto. Il corpo vuoto, prima ancora di essere lo spazio per una voce, ha una sua vita silenziosa, piena e completa, e una intelligenza che precede qualsiasi cultura.

Consideriamo liberamente questo vuoto silenzioso del corpo. La voce, considerata nel senso più ampio possibile, avrebbe la possibilità di ritirarsi lentamente e consapevolmente nel vuoto silenzioso del corpo, sciogliendo momentaneamente o lasciando al margine sia il proprio legame con la cultura musicale sia il proprio legame con la cultura materiale. La Voce, ritirandosi verso il suo centro silenzioso, potrebbe svuotare sé stessa e rinunciare alla sua identità culturale, e così prepararsi a un possibile nuovo inizio.

Questo centro vuoto però non è una condizione di partenza ma solo un possibile e ignoto punto di arrivo, cercato consapevolmente, che quindi ancora non esiste e non è immediatamente raggiungibile.

§

Quando oggi, noi compositori di musica scritta ci avviciniamo alla voce, ci troviamo di fronte a uno spazio chiuso, che ècompletamente pieno e saturato, ma circondato da un deserto.

  1. Lo spazio della voce musicale professionale contemporanea, con poche significative eccezioni, è una pratica vocale che resta fondamentalmente una voce occidentale tradizionale, come descritto prima. Ora, estesa ad articolazioni e possibilità considerate più moderne e attuali, ma totalmente secondarie. Spesso sono solo i cliché più comuni della cosiddetta musica contemporanea, nella sua forma accademica e scolastica, o “cheap imitations” di tecniche che provengono dagli improvvisatori o dalla vocalità teatrale.

  2. La vocalità occidentale classica e antica, che è un patrimonio straordinario e sempre vivo, è considerato e vissuto come un museo o un monumento per la curiosità dei turisti, o, molto pragmaticamente, come una fonte di materiali ready-made da imitare o riciclare.

  3. Attorno ad ognuno di noi c’è il mondo assordante e costantemente attivo della musica vocale di consumo, con tutte le sue forme e tutti i suoi generi e nomi, che ci riguarda sempre. Quando ci occupiamo di questioni di composizione questa realtà sembra non esistere. Invece ci circonda e penetra costantemente, ed è parte integrante della nostra cultura vocale musicale anche se non siamo disposti a riconoscerlo o volutamente la ignoriamo.

    Questa realtà vocale fatta di mille voci diverse e particolari, tanto estesa quanto una galassia, è il complementare diretto di ciò che noi compositori di musica scritta consideriamo vocalità.

    Possiamo solo sottovalutarne l’importanza e il ruolo.

    §

    Per noi compositori di musica scritta, contemporaneamente si è creato un deserto.

  4. Lo spazio aperto dalla vocalità della Nuova Musica, con pochissime eccezioni, attualmente sembra dimenticato o ignorato o scomparso. Restano solo i lavori più facilmente integrabili al repertorio tradizionale.

  5. Lo stesso si può dire per molte esperienze vocali che non appartengono alla musica scritta e che si sviluppano in differenti realtà culturali e sociali, o in campi non specificamente musicali. È un campo enorme, senza limiti definibili e con mille nomi e generi. È accessibile e conoscibile solo al di fuori dei canali professionali tradizionali e ufficiali, quindi, in questo senso, quasi non esiste. È come se queste esperienze accadessero su un altro pianeta, anche se sono contemporanee al nostro lavoro.

    Anche questa sarebbe una vocalità che ci riguarda, ma noi, chiusi nel piccolo mondo del nostro campo professionale che crediamo l’unico e il migliore, semplicemente le ignoriamo.

    Così come alcuni ignorano cosa sia il mare.

  6. La conoscenza, la pratica e la memoria della voce tradizionale popolare o non professionale antica, o del canto religioso, delle diverse culture originali locali, sembra scomparsa. Di sicuro, è uscita definitivamente dalla nostra concezione di formazione e cultura musicale professionale. Non sappiamo nemmeno più di cosa si tratta, per noi compositori attuali semplicemente non esiste.

    Il fatto che sopravviva ancora in limitate realtà culturali o che ci siano documenti musicologici straordinari disponibili, non cambia la situazione. È forse interessante e preziosa solo per qualche specialista o studioso.

§

Se questa è la situazione, come dobbiamo immaginare un processo di ritiro lento e consapevole della voce nel vuoto silenzioso del corpo? Si tratta di un lungo lavoro di studio, pratica, conoscenza e consapevolezza che chiunque può fare. È un compito che ci si assegna liberamente e per il quale non ci sono metodi e tutorial.

Proviamo a immaginarlo molto semplicemente. Si tratta di conoscere, comprendere, e, letteralmente, cercare di praticare e diventare “tutte le voci del mondo”, per così dire. Innanzitutto sperimentare e comprendere i limiti e i condizionamenti che non ci permettono questa esperienza, lavorare per superarli. E ogni volta, alla fine di questa esperienza, far cadere i limiti e lasciare da parte ciò che abbiamo conosciuto. Quindi si tratta di un processo di conoscenza preliminare che ha come scopo di poterci svuotare della conoscenza stessa. Fino a quando si raggiunge un particolare grado zero.

  1. Dobbiamo comprendere cosa è una voce professionale della musica scritta-pensata occidentale, e perché questa sua identità tecnica-culturale la isola e chiude in sé stessa.

    • Gli aspetti di tecnica vocale specifica, le loro ragioni di esistenza, ciò che rendono possibile e ciò che rendono impossibile o impensabile.
    • La stretta dipendenza dalla notazione, ciò che rende possibile o impensabile.
    • Le linee di sviluppo fondate e sviluppate agli inizi della notazione vocale occidentale.
    • Le linee aperte della nuova notazione della voce, introdotti dalla Nuova Musica.
    • I principi di altri tipi di notazione vocale non occidentale.

    Dobbiamo comprendere la concezione del suono e della voce che la vocalità occidentale ha incapsulato fin dall’inizio, e ciò che ha escluso nel suo sviluppo. È una questione fondamentale, tecnica e teorica.

    Dobbiamo comprendere la sua identità culturale.

    • La sua particolare nascita in ambito religioso nel medioevo.
    • La sua evoluzione successiva orientata in senso espressivo/psicologico o meccanico/strumentale.

    È necessario comprendere come la nostra vocalità scritta sia bloccata dalla definizione funzionale di registri, colori e possibilità tecnico-meccaniche, che sono identità espressive, ruoli legati a generi musicali, nella rigidità dei canoni e di una tecnica che probabilmente non ha più alcun senso usare, a meno di considerarsi a casa in essa e nei suoi valori. Senza questa comprensione non possiamo capire le ragioni e in che cosa consista l’esplosione creativa della vocalità nella Nuova Musica e nella sperimentazione vocale.

    §

    Si tratta di un lavoro che consiste di una comprensione teorica basata su una esperienza diretta, nella nostra voce, quindi è una pratica. Senza esperienza diretta, resta solo una distaccata nozione intellettuale, che non produce alcun cambiamento.

    Quando la nostra comprensione comincia a crescere, possiamo cominciare ad allontanarci da questa concezione vocale occidentale e lasciarla uscire dal focus del nostro interesse. Attraverso questo distacco si crea la distanza necessaria per cominciare ad ascoltare e comprendere la vocalità che ci circonda in un modo diverso.

  2. La musica vocale che ci circonda. È necessario diventare sensibili ad altri tipi di differenze. Per raggiungere questa sensibilità devo prima riconoscere la loro dignità. È necessario comprendere queste altre voci del mondo a partire dalla loro unicità, necessità e verità umana. È necessario considerare questa vocalità con la stessa attenzione che riserviamo alla vocalità tradizionale. Poi devo farle mie, mangiarle e digerirle, cioè devo cantarle, scriverle, modificarle creativamente. Attraverso questo lavoro posso comprendere di cosa consistano realmente e quale sia la loro distanza pratica e teorica dalla vocalità tradizionale che conosciamo e pratichiamo. Ma per poter fare questo è necessario un mutamento di punto di vista. Ho imparato a pensare la voce con le categorie e i valori della vocalità scritta tradizionale.

    Da questo centro ho sempre pensato che tutte le altre voci del mondo sono una periferia secondaria, quindi estranee e di scarsa importanza. Ora, invece, posso pensare che la voce scritta tradizionale occidentale è solo un frammento che appartiene alla grande voce indefinita del mondo. E quindi io, compositore, che sto cercando la voce, abito e appartengo allo stesso mondo vocale dove vive anche non solo il Pop, Il Rock, il Blues, il Flamenco, ecc., ma anche il Rap, lo Hi-Pop, il Death Metal, il Gothic, l’improvvisazione non professionale o sperimentale, insomma tutti i 1000 generi e nomi ecc. Devo essere in grado di “to see something of myself in everyone” come canta Joni Mitchell …

    Ma io posso essere parte dello stesso mondo, solo se e quando la mia voce comincia a diventare capace di cantare queste cose. È difficile e impegnativo, ma non ci sono altri metodi.

    §

    Perché fare questa esperienza?

    Perché in questo viaggio di conoscenza c’è moltissimo da imparare. Soprattutto quelle cose che non potranno mai avere spazio nella vocalità tradizionale, perché escluse di principio o ignote o impensabili. Devo portare in collisione queste dimensioni di esperienza. Se voglio aprire la mia sensibilità e la mia concezione, devo attraversare altre identità vocali. Devo condurle nello spazio vuoto del mio corpo.

    §

    Quando la nostra comprensione comincia a crescere, possiamo cominciare ad allontanarci anche da questa indefinita galassia vocale, e, come per la vocalità tradizionale, lasciarla uscire dal focus del nostro interesse. Attraverso questo distacco da ciò che ci è vicino e ci circonda, si crea lo spazio necessario per cominciare ad ascoltare e comprendere una vocalità che giace ormai molto lontano, almeno per una cultura tradizionale europea attuale.

  3. Per un compositore europeo attivo oggi la cultura vocale popolare e tradizionale è quasi completamente persa.

    Si tratta di una cultura che è pre-musicale o comunque estranea alla vocalità scritta. Non è considerata parte integrante della educazione. Non appartiene più alla memoria attiva della vocalità. Non c’è alcun interesse. In questo caso si tratta di radici culturali appena visibili o completamente invisibili. Si può fare molto in questo campo, ma il compositore deve diventare un ricercatore, con il metodo e la sensibilità dell’archeologo. Cosa molto interessante.

    La cosa più importante è riuscire ad avvertire e comprendere il vuoto che si è creato dentro di noi moderni e perché. Devo diventare sensibile a:

    • ciò che la mia voce non è mai stata.
    • ciò che la mia voce ignora.
    • ciò che la mia voce non potrà mai più essere.

    Un esempio per tutti: io non conosco e soprattutto non saprei cantare un canto tradizionale della mia cultura originale, per celebrare una nascita o una morte. Quando ascolto una anziana donna turca, ancora oggi, cantare una litania tradizionale per un defunto, mi chiedo dove siano le mie antiche radici vocal.

    §

    A cosa serve questa esperienza? A capire che dentro di me esistono già delle dimensioni vuote, indipendentemente dalla mia volontà, dalla mia sensibilità e dalla mia comprensione.Questo mi indica la strada da seguire, in questo processo di ritiro in sé stessi.

  4. Tutte le voci del mondo.

    È impossibile richiamare qui tutto quello che potrebbe essere interessante conoscere per poter abbandonare, allora diciamo tutte le voci del mondo che parlano, cantano, nella musica, teatro, radio, televisione, cinema, Video, ecc. Tutto. In breve: tutte queste voci possono essere immaginate o sognate, e quindi definitivamente spente.

    §

    La voce comincia così a ritirarsi in un luogo che è fondamentalmente ignoto. Inizialmente è solo il vuoto lasciato dalle conoscenze della voce scritta-pensata. In questo passaggio la Voce attraversa lo stadio dove si confonde con qualsiasi altro tipo di voce, che appartiene a qualsiasi campo dell’esistenza, e la lascia volontariamente recedere in una periferia del focus e finalmente scomparire dal focus. In questo processo la voce può momentaneamente perdere sé stessa, non solo la sua identità culturale, ma la propria definizione. Può retrocedere e avvicinarsi a un grado zero, a un vuoto e una momentanea mancanza di senso. Il che non significa confinarsi nel silenzio o diventare una bambola parlante rotta.

    In questo vuoto, c’è lo spazio per atti vocali indefiniti che si confondono o ancora non si distinguono dalle azioni muscolari e respiratorie che le li rendono possibili. Sono lo sfondo su cui un atto vocale pensato e costruito potrebbe trovare posto.

    Sono il terreno su cui ogni parola potrebbe trovare posto, ma non è necessario che il suono tradizionale del canto o la parola abbiano un posto. È uno spazio che è prima del canto comunemente inteso, prima della parola, e fondamentalmente indipendente dalla parola. L’accesso a questa dimensione iniziale è aperto, è pre-culturale. In un certo senso è fuori dal tempo (il tempo scandito dalla cultura).

    In questo processo il canto perde la propria identità di voce (il mondo consueto di ritmi e significati) e ritorna nel mare della impersonalità, dove le gerarchie e le categorie diventano opache e riappare una umanità plurale e silenziosa. E come il viso in una scultura Cicladica, che non ha occhi e bocca.

    §

    Il passo ulteriore e decisivo, che taglia definitivamente il legame con la cultura della voce tradizionale, musicale o non musicale, è quello dove la voce rinuncia alla sua natura più profonda, alla sua ragione di esistenza più forte. Parola Detta e Canto sono atti pensati di principio come un irraggiamento aperto, che dalla fonte (corpo) si diffonde e si irraggia nello spazio, oltre i propri limiti.

    La voce è diretta all’altro fuori di sé. Che può essere reale, latente, implicito o immaginato. Nel pensiero e nella pratica della voce tradizionale occidentale, c’è solo questa dimensione. Nella voce tradizionale occidentale ci sono solo gradi di estroversione.

    La voce potrebbe rinunciare momentaneamente a questa estroversione fondamentale, ma, immediatamente, perderebbe sé stessa e il suo senso.

    §

    A questo punto la prima parte del viaggio è conclusa, ora si potrebbe immaginare di ritornare. Ma, verso dove? Questa sarebbe una speciale libertà da considerare.

    §

Questi due aspetti centrali,

  1. la connessione diretta che lega e unifica due esseri umani (quello che in genere consideriamo invece un rapporto d’ascolto fra entità separate ed estranee)

  2. la possibilità di ricentrarsi, ritirandosi dalla cultura musicale e materiale,
    potrebbero diventare un punto di partenza e un punto di vista diverso.

Da qui potremmo riconsiderare cosa è una voce per noi, ciò che noi attualmente pensiamo e facciamo, e soprattutto potremmo considerare piuttosto cosa una *Voce potrebbe essere.

Ovviamente questa è una esperienza rischiosa e pericolosa, certamente sul piano individuale, e in ogni caso si perde la possibilità immediata di operare in un campo professionale così rigido e convenzionale come il nostro attuale.

Domanda: che cosa significa libertà per un compositore?

ritorno all'inizio

 

 

9. Luigi Nono, sulla musica.

L’intero lavoro compositivo di Luigi Nono è una domanda aperta. Si dimenticano spesso o si ignorano la sua volontà e la sua disciplina nel rimettere a fuoco i lavori attraverso profonde revisioni e perfezionamenti successivi (pensiamo alle diverse versioni di Prometeo o a Risonanze erranti), così come il suo costante interesse nel mettere a fuoco in ogni nuova esecuzione aspetti diversi di un lavoro. Secondo questo approccio, un testo musicale non è un oggetto chiuso in sé stesso ma è solo provvisoriamente definitivo, resta aperto ed è sempre possibile raggiungere un grado più elevato di profondità.

Anche i seguenti 3 statements da Altre possibilità di ascolto 1985, sono parte di questo approccio alla composizione e costituiscono un’unica domanda.

Io entro nello studio di Friburgo, sempre, “senza idee”. Senza programmi. Questo è fondamentale perché significa l’abbandono totale del logocentro [logocentrismo], la perdita di quel principio per cui un’idea dovrebbe essere sempre l’antecedente della musica. L’idea come ciò che deve essere realizzato o espresso nella musica.

§

Oggi la razionalità non illumina e non illustra nulla, non è in grado di scoprire cosa sia la trasformazione, il cambiamento. Non sa che cosa sia il “possibile”.

§

La musica non è solo composizione. Non è artigianato, non è un mestiere. La musica è pensiero.